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Kenya, esperienza unica - luglio 2004

Il testo propone la testimonianza di Ilaria Damele, guida scout di "Uno, nessuno, centomila", il Clan dell'Agesci Mestre 2 della parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio di Carpenedo, che è stato in Africa per due settimane di lavoro nell'estate del 2004.

C'è stato del tempo per decidere, per organizzarsi e per partire, ma niente, in realtà, può prepararti a questo. Non la buona volontà, non l'amore per il prossimo e nemmeno la voglia di cambiare il mondo, perché questo non lo si può fare. Ma solo quando lo vedi te ne rendi conto.

Credevo di poter preparare i ragazzi a tutto questo, ma non era possibile farlo, non sarebbero mai stati pronti. Dovevano essere colpiti, dentro, nel profondo. Non potevano avere delle barriere di compassione o ipocrisia, dovevano solo sentirsi dei grandi occhi neri addosso: gli occhi di chi non ha nulla e ti guarda con curiosità ed invidia e paura all'inizio. Dovevano vedere come la gioia non deriva da quello che si possiede ma dalla forza con cui ogni giorno si conquista la vita.

E questo l'ho capito anch'io.

Ilaria con i bambini

L'Africa ci ha accolto, ci ha amato e protetto, ma nel contempo ci ha sbattuto in faccia come tutti i nostri buoni propositi di uguaglianza non sempre siano sufficienti. Nella fatica del lavoro con i ragazzi, nell'impegno verso la stessa promessa scout con le collegiali, nell'essere fratelli sotto la guida di Gesù Cristo con tutto il villaggio, ci siamo sentiti vicini ad un intero popolo: ma questa non era veramente uguaglianza. Noi siamo sempre stati di aiuto e non poteva essere diversamente. Noi, quelli con lo zaino, l'uniforme, tre pasti al giorno sempre in tavola e le scarpe ai piedi.

Difficile inizialmente, ma così appagante e speciale e arricchente che mai avrei potuto chiedere un'occasione migliore per i ragazzi. Finalmente la nostra "scelta politica" non è più solo una parola. Il voler indagare cosa succede nel nostro mondo, saper prendere una posizione di fronte ai fatti, sporcare le mani e la faccia nella rossa terra africana e sentire di poter fare qualcosa. Probabilmente qualcosa di invisibile, ma io sono convinta che tutto sia utile e tutto abbia un significato, per lasciare il mondo un po' migliore di come lo abbiamo trovato.

Ma indubbiamente la vera ricchezza è stato tornare a casa ed avere la possibilità di essere testimoni di tutto questo. Una nuova visione delle cose, da coltivare e comunicare ogni giorno, per far sapere a tutti l'enorme ingiustizia che si sta compiendo: ascoltateci, perché abbiamo tante cose da dire e da raccontarvi di quel mondo, perché qualcosa si può fare, insieme. Tutti gli interrogativi che il Kenya ci ha lasciato spero rimangano nella testa dei miei ragazzi per sempre, come lo sono rimasti nella mia.

Ilaria

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