Il testo racconta l'esperienza di Antonella Levi Minzi al suo secondo viaggio in India, nel gennaio del 1997. Sebbene questa testimonianza e le successive risalgano a molti anni or sono, le riteniamo di interesse perché mostrano quanto l'impegno di tutti riesce a portare a questi bambini e quanto loro siano affettivamente legati a chi li sostiene.
India, magica, mitica India. Dopo neppure un anno dal primo viaggio, rieccomi in preparativi per tornarvi. Per mesi ho programmato ed aspettato con desiderio quasi spasmodico il giorno della partenza. La prima volta mi ha spinto la curiosità, questa seconda volta una struggente nostalgia. Nel rivedere le diapositive del primo viaggio, riuscivo perfino a sentire l'inconfondibile odore d'India, inebriante, penetrante, un misto fra il profumo di sandalo e di spezie, che entra dentro fino all'anima, e al profumo si accompagnano le immagini che ad occhi chiusi affollano la mente.
Siamo in India, e tutto si ripropone uguale, immutabile: il caos, il frastuono, i clacson, la polvere, le grida, il rumore assordante dei motori. Neppure una settimana prima della nostra partenza, un ciclone si è abbattuto sulla costa est dell'India, in Andhra Pradesh, nel distretto di Eluru dove ci sono le scuole. Solo all'aeroporto di Hyderabad, la paura e il dubbio che possa essere accaduto qualcosa ai bambini si dissolve, quando ad accoglierci c'è Padre Paschali col suo radioso sorriso e con un immancabile mazzo di fiori in mano. Emozione, grande nel rivedere quei posti che oramai sono diventati familiari.
Non abbiamo molto tempo, è sabato pomeriggio e abbiamo solo poche ore a disposizione per cambiare i dollari e tuffarci negli acquisti per i bambini. Non sembra un grosso problema acquistare da vestire per 300 bambini, ma siamo in India e tutto deve passare per una estenuante contrattazione, poi alla fine tutto il materiale deve essere contato, imballato e caricato sulla jeep. Ed è così che ci troviamo a notte inoltrata dopo aver comprato magliette, stoffe e materiale scolastico per tutti. Avremmo voluto comprare di più, ma oramai è tardi, i negozi sono chiusi da un pezzo e a noi ci aspetta una lunga gita in jeep: l'unico modo "veloce" per viaggiare è di notte quando il traffico è notevolmente ridotto.
E quindi via, altra notte praticamente insonne, ma la domenica mattina ci attende un dolce risveglio: arriviamo a Darbhagudem. Ed eccoli tutti quei volti che fanno già parte di noi. Cerco di respirare lentamente per assaporare a fondo quei momenti, per ascoltare quelle voci festanti, per sentire quelle mani che ti toccano e ti abbracciano, per guardare quegli occhi ridenti che cercano di comunicarti la loro gioia nel rivederti. Qualcuno si fa coraggio e chiede del proprio sponsor: "Perché non è venuto?". Non esiste in India il senso di tempo e di spazio ed è impossibile far capire loro che l'Italia non è proprio dietro l'angolo, che per arrivare ci abbiamo impiegato 8 ore di volo, 10 ore di attesa negli aeroporti, 12 ore di jeep, 3 notti insonni. In effetti lì le cose assumono un'altra dimensione ed arrivo a chiedermi pure io: "Perché gli altri sponsors non ci sono?". La magica India sta già facendo effetto e tutto appare relativo: quello che conta è che siamo noi lì con loro.
Si deve procedere a ritmo sostenuto, le cose da fare sono infinite: preparare e distribuire i regali, fare le foto, controllare le liste, chiedere notizie dei bambini, visionare i conti, incontrare gli architetti per il progetto del nuovo boarding home. Viviamo intensamente insieme a Padre Paschali e con lui andiamo a visitare villaggi immersi nella foresta (tribù). C'è tutto da guardare, poco da dire..! Si cerca di fotografare il più possibile perché anche chi è a casa possa vedere, ma non può "sentire". In certi momenti l'emozione è tale che ci fa dimenticare che siamo lì anche per "documentare": non siamo foto reporters, siamo esseri umani travolti spesso dalle forti sensazioni che quella terra costantemente ti propone.
Il tempo è tiranno e ben poco ne abbiamo a disposizione per stare coi bambini i quali comunque cercano in ogni modo di rendere più gradevole, se mai fosse possibile, il nostro soggiorno: organizzano spettacoli, balli, canti e sono felici di poterci aiutare e collaborano con noi in tutto quello che dobbiamo fare. Arriviamo così alla mattina della nostra partenza. E' l'alba, abbiamo caricato tutto sulla jeep: valigie e pacchi per Mogaltur, ed eccoli tutti quanti, intirizziti dal freddo, grandi e piccini che fanno ala al nostro passaggio, per salutarci con apparente vivacità, ma in realtà in quegli occhioni si legge una grande tristezza: con noi se ne va ciascuno dei loro sponsors e la loro ultima parola è un saluto a chi sta in Italia.
Ci aspetta un altro viaggio su strade disastrate, in mezzo alla polvere e all'incessante rumore dei clacson. Ammiriamo un paesaggio da favola: colori vividi, distese di risaie punteggiate dai sari sgargianti e lì sulla strada si svolge ogni sorta di lavoro "antico", da noi oramai da tempo in disuso: lavorazione della corda, brillatura del riso, asciugatura dei panni stesi, impagliatura dei cesti, ferratura delle mucche, preparazione della calce ecc..
Dopo circa 5 ore arriviamo finalmente a Mogaltur. Ad accoglierci un nuovo nugolo di bambini col loro rituale d'accoglienza: fiori, danze, canti, scenette. Anche qui distribuiamo regali, raccogliamo notizie, scattiamo foto, visioniamo i conti, parliamo con Padre Stalin. I bimbi di Mogaltur sono più piccoli, pochi conoscono qualche parola in inglese, ben poco possiamo comunicare con loro, ma è così bello semplicemente guardarli e stringere le loro mani.
Arriva sera e dobbiamo ripartire, domani mattina ci attende il vescovo ad Eluru ed anche questa seconda esperienza alle scuole si sta per concludere. A questo punto so per certo che non siamo qui per Ravi o per Kumar, ma per tutti loro, perché quello che riescono tutti insieme a trasmettere è qualcosa di speciale, unico, inspiegabile. Dopo l'incontro con il Vescovo John col quale abbiamo a lungo parlato di entrambi i collegi e dei molteplici problemi di gestione e di coordinamento, e che ci ha assicurato la sua più totale disponibilità, riprendiamo il nostro viaggio. Adesso possiamo fare i turisti, ma chissà perché alla nostra mente ricorrono di continuo i ricordi delle scuole. Lì ci abbiamo lasciato proprio un pezzo di cuore. Ci consola solo una certezza: il nostro non è un addio, ma un arrivederci e a presto.
Antonella Levi Minzi
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