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Notiziario del Gruppo Missioni

Notiziario nº 10/2018 Viaggio in Kenya.

Carpenedo, 07 luglio 2018

 

Kenya il mio viaggio.

Molto mi è stato raccontato ed altrettanto ho letto sull'Africa prima di partire. Da un lato c’era chi mi serviva piatti colmi di ansia e paure: la pericolosissima malaria trasportata dalla zanzara anopheles che passa la vita a cercare gli wazungu (uomini bianchi), gli incontri con persone a volte poco raccomandabili o con animali pericolosi, la dissenteria killer, la febbre di tutti i colori…

Dall'altro chi elencava tutte le bellezze del posto, l’ospitalità degli abitanti, i paesaggi mozzafiato delle foreste e degli aridi altipiani, il caos vitale dei mercati affollati, i profumi, i ritmi …

Quando arrivi a Nairobi, l’enorme contrasto ti colpisce subito: da un lato la città nuova costruita con grandi palazzi, ville con piscina e dall’altro una città parallela, cresciuta a ridosso della capitale, sì perché KIBERA è forse la più grande baraccopoli d’Africa con i suoi quasi 200.000 abitanti ammassati sotto la grande arteria stradale. Sono perlopiù giovani che lasciano i loro villaggi distanti qualche centinaio di chilometri da Nairobi per cercare un lavoro, un cambiamento di vita che, però, faticano a trovare.

Un’unica strada asfaltata percorre il Kenya attraversando una valle di 200 chilometri, tutti i villaggi sorgono all'interno della foresta e sono raggiungibili solo per sentieri impervi, pericolosi, sconnessi, impraticabili appena si scatenano le piogge. Lungo il ciglio della strada banchetti improvvisati mettono in mostra banane, ananas, pomodoro, patate, il poco raccolto che la terra riesce a dare dopo un faticoso lavoro.

Spesso per strada si vedono tanti giovani senza occupazione che si riuniscono in gruppo e aspettano … Cosa, non si sa. Nella foresta donne senza età, raccolgono banane, granoturco e ortaggi, a volte insieme ai bambini che non riescono ad andare a scuola. Baracche in lamiera arrugginita sono le loro case. L’acqua viene prelevata dal fiume ed incanalata verso i villaggi con un’infinità di tubi che si insinuano tra la folta vegetazione.

Al mattino presto e alla sera, i sentieri sono percorsi dai bambini che vanno a scuola; indossano una divisa che li identifica con l’Istituto scolastico che frequentano; alla scuola pubblica, invece, ognuno si presenta come può. Quando ti incontrano per strada, ti guardano dicendoti “Hello, ciao, caramella”, ti regalano un sorriso e aspettano la ricompensa. Tu sai che molti di loro quella sera non mangeranno, se fortunati, avranno una pannocchia abbrustolita perché il pranzo è stato già garantito a scuola: una tazza di porridge.

E’ solo quando riesci a fermarti e a conoscere le loro storie di estrema miseria e povertà che ti rendi conto della tua impotenza di fronte a questa immensa tragedia. C’è una disarmante, rassegnata attesa degli eventi, che fa apparire il popolo keniano e più in generale africano, apatico, indifferente, indolente … come se dicesse “Non ce la facciamo a cambiare il corso del nostro destino”. Esiste poi anche l’altra faccia della medaglia, le tante missioni con le loro scuole, le parrocchie, i dispensari che cercano di dare un aiuto concreto ai bisogni quotidiani e fanno della solidarietà verso il fratello più povero, una vera vocazione, una modalità di vita autentica.

Nel nostro orfanotrofio di St. Patrick, che sorge in un territorio provato e difficile, trovano accoglienza bambini a cui la vita ha tolto tantissimo e là imparano cosa vuol dire crescere in una grande famiglia, tra il calore di persone amorevoli che possono garantire una crescita equilibrata, cibo ed istruzione. Là allora il nostro cuore si rasserena un po’, trova sorrisi, abbracci e baci.

L’Africa non è uguale per tutti, ognuno si costruisce la sua immagine, dipinta con colori e sfumature diverse a seconda di come la si è vissuta durante il viaggio. Dico vissuta, perché l’Africa si vive come una bella canzone ascoltata ad occhi chiusi, ballando a piedi nudi ed inebriandosi delle emozioni che ci dà in ogni istante.

Anna Z.

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